Il valore educativo della trasgressione

Per entrare subito in tema e mettere le carte in tavola direi che oggi, specialmente per le bambine e i bambini italiani, la trasgressione è un lusso che non possono permettersi.

Quando avevo 6-7 anni, un cugino un po’ più grande mi convinse che per un uomo era necessario provare a fumare.
E la mia prima sigaretta fu una foglia secca di vite triturata e involtata nella carta gialla del macellaio. Non ricordo l’effetto che mi fece, certo è però che io fumai le prime sigarette intorno ai trent’anni e smisi meno di 10 anni dopo quando mi accorsi che mio figlio più grande fumava di nascosto. Dato il benefico effetto sulla mia vita di quella strana esperienza infantile, posso suggerire ai genitori di preparare simili sigarette per i figli? 

Evidentemente no, perché quella fu una trasgressione, una violazione di tutte le regole e raccomandazioni familiari, fatta di nascosto.

Quello che invece mi sento di raccomandare ai genitori è di lasciare ai loro figli la possibilità di trasgredire e cioè una sufficiente autonomia per poter scegliere i loro comportamenti e le loro esperienze, assumendosene poi la responsabilità e le conseguenze.

Un altro ricordo infantile. Tutti i giorni, dopo pranzo e finiti i compiti, si usciva di casa per giocare. Non era un atteggiamento liberale di nostra madre: era una necessità, perché quattro figli maschi non avrebbero potuto rimanere in una casa molto piccola, insieme a lei, che sull’unico tavolo doveva cucire, stirare e cucinare. Anche nostra madre aveva paura del traffico e degli zingari che potevano rubare i bambini (già ottanta anni fa ci si credeva, anche se finora non è stato dimostrato neanche un caso certo, come afferma il Ministero degli Interni); questi timori però non mettevano in dubbio la nostra autonomia, ma la collocavano all’interno di una
cornice di regole: regole di spazio, di comportamenti e di tempo. Si doveva essere a casa per le 7, se si rientrava alle 7 e mezza il giorno dopo non si usciva. Allora si cercava di tornare alle 7,05 e se non succedeva niente quello diventava il nuovo limite e quando questo era consolidato lo si forzava ancora.

Cosa significa «tempo libero»?

Innanzi tutto libero da altri impegni come i compiti o altre attività pomeridiane. Ma libero anche da un controllo diretto di adulti, perché questa è la condizione perché i bambini possano «dedicarsi» al gioco.

E «il gioco è godere della realizzazione di un desiderio attraverso dei rischi», diceva Françoise Dolto. Attraverso dei rischi, attraverso potenziali trasgressioni. E con un adulto che accompagna e vigila non si possono incontrare dei rischi.
Uno dei nostri giochi infantili tra maschi e femmine era il gioco del dottore, con evidenti interessi esplorativi per avvicinarsi ai misteri delle nostre differenze, un gioco certamente trasgressivo ma importante per conoscere e per conoscersi. E con un adulto che accompagna e vigila non si può giocare al dottore.

Chi legge ricorderà la famosa pagina del libro Grammatica della fantasia di Gianni Rodari dove un bambino di 5 anni inventa la storia della Parolina Ciao che inizia così: «Un bimbo aveva perso tutte le parole buone e gli erano rimaste quelle brutte: merda, cacca, stronzo». Un altro caso di trasgressione, questa volta verbale, possibile in una scuola, come quella dell’infanzia di Reggio Emilia, nella quale i bambini si sentivano liberi di trasgredire.

La trasgressione e l’educazione

Credo che la più importante scoperta professionale della mia vita sia stata quella legata a un errore di mio figlio maggiore quando aveva circa tre anni. Un giorno mi disse: «Babbo, ho scoprito».

Quando cercai di capire da dove poteva arrivare questo strano errore, dovetti riconoscere con stupore e quasi con preoccupazione che l’unica spiegazione possibile era che mio figlio, insieme a tutti i bambini della sua età, a 3 anni sapeva coniugare i verbi, e siccome scoprire era della terza coniugazione, faceva «correttamente» scoprito.

Questa trasgressione di mio figlio mi aprì la mente, mi fece capire che tutto il progetto educativo sull’apprendimento della lettura e scrittura era assurdo e umiliante. E da qui cominciò un lungo percorso nel quale continuo a essere impegnato.

Gli errori sono sempre delle preziose trasgressioni in mano a un educatore curioso e disponibile. Ma la trasgressione è uno dei canali più interessanti e più importanti della conoscenza perché è mossa dalla curiosità, dal desiderio di tentare strade nuove, possibilmente inesplorate. E naturalmente è legata al rischio, componente essenziale del gioco.

Quando Celestin Freinet indicava fra le sue tecniche il «testo Libero», la suggeriva come una finestra aperta alle esperienze dei bambini, a quelle vissute liberamente fuori da scuola e da casa, nel loro tempo libero.

Era la possibilità di portare a scuola in un breve racconto scritto, qualcosa che avevano vissuto o osservato e che li aveva particolarmente colpiti. Era una scuola che desiderava aprirsi alla vita degli alunni, alla vita avventurosa e spesso trasgressiva, che poteva fornire testimonianze ricche sulle loro scoperte, sulle loro emozioni, sui loro sentimenti.

E qui dobbiamo arrivare alla parte più importante sul valore e il significato della trasgressione, quella che tocca agli adulti, agli educatori, sia genitori che insegnanti.

Sto parlando della necessaria rinuncia da parte loro ai loro progetti, alle loro aspettative, ai loro programmi perché i loro figli e i loro alunni possano essere se stessi, quello per il quale sono nati e che nessuno può conoscere,
né i bambini, né i genitori, né gli insegnanti, se non con un rispettoso e appassionato lavoro di ricerca.

Perché: «Il bambino non è proprietà dei genitori, né della scuola, né dello Stato. Quando nasce ha diritto alla felicità». Con queste parole Mario Lodi iniziava il suo intervento ad Alma Ata in Unione Sovietica nel 1976.

Perché chiamo questo atteggiamento una trasgressione?

Perché obbliga a disobbedire in famiglia alle proprie aspettative, rinunciando a volere che il figlio o la figlia si dedichi allo sport preferito dai genitori, scelga prima la scuola e poi il lavoro che a loro parere sono più adatti a una vita senza problemi, a volere che pensino come loro in fatto di politica, religione, modo di vestire e persino rispetto alla squadra per cui tifare. Obbliga alla disobbedienza civile a scuola: a rinunciare alla sicurezza che danno i programmi scolastici, i libri di testo, gli obiettivi da raggiungere per poter approvare o respingere.

Ma, mi contesteranno gli insegnanti, le leggi, i regolamenti, obbligano a rispettare queste norme.

Non è vero. E mi sento di sostenerlo serenamente perché a fronte dei regolamenti, delle riforme educative, dei programmi scolastici non metto le idee pedagogiche mie o di altri autori che le condividono, ma la legge di più alto valore giuridico a cui possiamo riferirci, la Convenzione dei diritti dell’Infanzia. Essendo un trattato internazionale vincola tutti gli Stati che la ratificano a rispettarla, ed eventualmente a modificare le loro leggi ordinarie, nel caso sostenessero comportamenti diversi da quelli ivi indicati.

Ha anche un altro grande valore riferirci a questa legge perché è il trattato internazionale più riconosciuto in assoluto e quindi dà indicazioni vincolanti a tutti gli Stati del mondo.

Mi riferisco non tanto all’articolo 28, che tratta del diritto alla scuola e garantisce «l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti, per garantire a ciascuno l’uguaglianza delle possibilità», ma all’articolo 29.

Perché questo articolo tratta più in generale il diritto all’educazione e quindi coinvolge negli stessi obblighi la famiglia e la scuola. E recita: «Gli Stati parti convengono che l’educazione del bambino deve avere come finalità:

a) favorire lo sviluppo della personalità del bambino nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità ».

Mi pare assolutamente chiaro: scopo dell’educazione non è portare i figli e gli alunni a raggiungere i risultati previsti, ma innanzi tutto aiutare ciascuno di loro a scoprire le loro attitudini mentali e fisiche e poi offrire loro gli strumenti adeguati a svilupparle in tutta la loro
potenzialità.

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